Depositate le motivazioni della sentenza che ha condannato la madre killer, Katalina Bradacs, a 20 anni di carcere
Depositati gli atti della sentenza della Corte d’Assise di Perugia che motiva la condanna a 20 anni di carcere (la Procura della Repubblica, rappresentata in aula dalla pm Manuela Comodi, aveva chiesto 30 anni), inflitta a Katalina Erzsebet Bradacs, la 46enne ungherese che il 1 ottobre 2021 a Po’ Bandino, frazione di Città della Pieve, ha assassinato accoltellandolo il proprio figlioletto di due anni con sette fendenti.
Scrive la Corte che le modalità del delitto si caratterizzarono per “una violenza inaudita, una serie di coltellate portate in rapida successione, alcune delle quali talmente violente da trapassare letteralmente da parte a parte il corpo del bimbo”.
Stando a quanto ricostruito dai magistrati nelle 43 pagine di motivazioni l’imputata «fin dal momento in cui in Ungheria ha preso avvio la causa civile per l’affidamento del figlio ha manifestato in ogni modo la propria assoluta opposizione a che Alex venisse affidato al padre».
Ancora: «Dagli atti relativi al procedimento ungherese emerge la pervicace volontà di veder frustrate le aspirazioni del padre Norbert Juhazs. Nel momento in cui decide di partire per l’Italia, Paese in cui aveva lavorato come spogliarellista e pornostar, e dove confida di poter riallacciare precedenti contatti e portare il bambino con sé, non è realmente convinta di dover proteggere il piccolo Alex da abusi che potrebbe subire restando con il padre ma vuole solo sottrarglielo, con ostinazione».
Secondo la Corte d’Assise l’ungherese «al momento di uccidere il figlio era perfettamente in grado di comprendere cosa stesse facendo. Il delitto è stato il punto terminale di una scelta già ponderata».
Al termine della pena, la Bradacs, difesa dagli avvocati Luca Maori ed Enrico Renzoni, dovrà trascorrere tre anni in una casa di cura «stante il riconoscimento del vizio parziale di mente, prevalente sull’aggravante della premeditazione».