A finire nella rete, ovviamente i più fragili: in primis persone in povertà, donne e migranti
Lavoro nero e caporalato, un fenomeno negativo che non fa bene all’economia.
Dopo il monito lanciato dall’Umbria dal segretario della Cisl, Luigi Sbarra, per una campagna nazionale contro lo sfruttamento in agricoltura, è la Cgia di Mestre a delineare i contorni del fenomeno che a sua volta ha elaborato i dati Istat.
In Umbria c’è un esercito di lavoratori in nero, che conta 41.700 occupati nell’economia sommersa nella regione, con un tasso di irregolarità dell’11,4 per cento: significa che un lavoratore su dieci non ha un contratto regolare. Un dato che pone la nostra regione al secondo posto in Italia.
Dato peggiore di tutte le regioni del Centro Nord e oltre la media italiana.
Il fenomeno colpisce di più alcuni settori, come l’agroalimentare, i trasporti, le costruzioni, la logistica e i servizi di cura. In larga parte, a farne le spese sono cittadini stranieri presenti irregolarmente in Italia, ma sono sempre più numerosi anche gli italiani costretti per bisogno ad adeguarsi alle richieste illecite del mercato sommerso.
L’economia irregolare in Umbria vale quasi un miliardo di euro l’anno e, come detto, coinvolge oltre 40mila lavoratori.
A favorire lo sfruttamento nei campi sono la stagionalità e i luoghi di lavoro spesso isolati. A finire nella rete, ovviamente i più fragili: in primis persone in povertà, donne e migranti.