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Carlo Lucarelli al Festival del Medioevo racconta i “casi gialli” dell’età di mezzo

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Nel corso della seconda giornata la consegna delle borse di studio della Fondazione Mazzatinti per gli studenti che si sono distinti a scuola

“Nero come il terrore”, Carlo Lucarelli racconta i “casi gialli” dell’età di mezzo al Festival del Medioevo. Il celebre scrittore e autore televisivo ha presentato le nuove puntate del podcast in cui racconta le storie di Gilles de Rais, meglio conosciuto come Barbablù, e i processi agli animali “killer”.

“Nero come il terrore perché il Medioevo fa paura con tutti i suoi cliché e pregiudizi – ha detto lo scrittore – Ben sapendo che il Medioevo è stato anche, e soprattutto, altro, non un periodo buio, di paura e violenza, bensì un’epoca di forti contraddizioni”.

Intervistato da Andrea Fioravanti ha parlato di fiabe, di violenza e torture, di senso di impunità per i potenti (che nel caso di Barbablù non ha funzionato in quanto venne giustiziato per gli oltre 200 giovanetti seviziati e uccisi, facendone un vero serial killer medievale), descrivendo una realtà non tanto lontana da noi. Lucarelli ha anche parlato di un Medioevo immaginato, fatto di cavalieri senza macchia e paura, di streghe “che non c’erano, neanche come le immaginiamo oggi”, di inquisizione, intrighi e torture, affermando che “bisogna liberarsi di tutto ciò, ben sapendo che il mondo, in ogni epoca, è fatto di contraddizioni”.

Carlo Lucarelli intervistato da Andrea Fioravanti

La seconda giornata del Festival del Medioevo è iniziata con la consegna delle borse di studio della Fondazione Mazzatinti in memoria di Gennaro Pinna e quelle in memoria di Francesco Allegrucci, cui sono seguite le relazioni degli autori sulla storia di Gubbio.

Il professor Alberto Luongo ha trattato il tema della nascita del governo di popolo, “una particolarità tutta eugubina, con il governo di popolo che si costituisce grazie ad alcuni magnati che si fanno da parte e mantengono il ruolo di difensori del comune”. Un’esperienza di governo che viene interrotta da Uguccione della Faggiola che fa di Gubbio una città ghibellina, “una cosa così innaturale che suscita stupore anche presso la corte aragonese tramite un documento di un ambasciatore” ha riferito Luongo.

Particolarità che sono proseguite con la lezione del professor Marco Menichetti, geologo, che ha ripercorso la storia delle pietre, dalle cave alla città, ai vari utilizzi e al computo delle tonnellate di roccia estratte nel tempo a Gubbio, ricordando che “per prelevare le pietre nel territorio già nel 1326 era necessario avere un’autorizzazione” e che “la festa dei Ceri nel XV secolo era organizzata dai pietraioli, cioè scalpellini, non dai muratori”.

Il professore Carlo Tosco, invece, ha voluto sottolineare come l’area del potere laico a Gubbio sia frutto di “uno schema limpido, pensato e realizzato, con il Palazzo dei Consoli da un lato e quello del Podestà che svettano in verticale, mentre in orizzontale si sviluppa la piazza sospesa, realizzata con un intervento di sostruzione ripreso dall’architettura romana”. Un progetto nato nel clima culturale e politico delineato da Luongo e “che è un unicum nel panorama italiano dei palazzi comunali”.

Patrizia Ramacci e l’architetto Luca Lepri hanno illustrato il progetto “Mani Maestre”, cioè i calchi delle mani di artigiani storici italiani, attualmente in mostra a Palazzo dei Consoli.

La conclusione del Focus è stata affidata a don Mirko Orsini ed Elisa Polidori che hanno parlato della cattedrale di Gubbio, riprendendo il tema del Festival, “siamo come nani sulle spalle dei giganti”, soffermandosi sul senso della Chiesa e dei martiri, intesi come giganti della fede, di come “oggi non siamo abituati a guardare con occhi curiosi le chiese, le vediamo solo come turisti, non ci interroghiamo più sulle cose, dovremmo riuscire a salire nuovamente sulle spalle dei giganti e ritrovare la speranza, avvicinandosi alla luce”, quella luce del Medioevo che deve portarci ancora avanti”.

Tra gli autori che si sono alternati sul palco il professor Duccio Balestracci che ha raccontato la vita di santa Caterina da Siena, “una donna che dimostra di conoscere molti autori. Informazioni apprese nel vicino convento di San Domenico”. Lo si evince anche dal fatto che “Caterina entra nella riflessione teologica, utilizzando un linguaggio di chi conosce la scrittura”.

Ildegarda di Bingen è il tema trattato da Maria Giuseppina Muzzarelli. Santa, mistica, musicista, scienziata, “quella di Ildegarda è stata la prima mano femminile ad aver scritto un’enciclopedia”, ricevendo “il diritto di parola da Dio” e decidendo “di esternarlo in vari modi”.

La figura di Eleonora di Aquitania, regina di Francia e poi di Inghilterra, madre di re, è stata tratteggiata da Isabella Gagliardi, mentre la professoressa Marina Montesano ha parlato di Giovanna d’Arco e della sua chiamata “ad andare in Francia” e salvare il regno. Intenso il racconto del processo e dell’accusa di eresia, basato sulle “voci” sentite dalla Pulzella di Orleans e sul fatto di indossare abiti maschili.

“L’utilità dello studio del latino è come l’esistenza di Dio, indimostrabile, o ci credi o non ci credi”. Ha esordito così il professor Pietro Colletta nella sua relazione su “latino lingua che unisce”, precisando che bisognerebbe parlare di “Latini più che di latino e che non tutte le volte che pensiamo al latino pensiamo ad una lingua fissa e alle nostre grammatiche liceali, ma è una lingua, come tutte, che ha subito moltissime influenze dovute allo scorrere inesorabile del tempo”, rimanendo la lingua “in cui si esprimono, si elaborano e si comunicano tutti i saperi”, la “lingua mondo, altro che brutto sporco e cattivo”.

Sergio Valzania ha raccontato la storia delle monete, “il primo vero media di massa perché veicola informazioni immediatamente riconoscibili da tutti”. In particolare si è incentrato sul Fiorino, “una moneta contenente 3 grammi di oro” apparsa sul mercato in un momento in cui non c’erano monete d’oro e che ha sancito la supremazia di Firenze.

Patrizia Bovi, musicista e fondatrice dell’Ensemble Micrologus, ha parlato della rivoluzione della musica mensurale, con la quale si passa dalla monodia alla musica polifonica.

“Tutti noi siamo un po’ astrologi medievali laddove ogni volta citiamo i giorni della settimana” ha esordito il professor Stefano Rapisarda, chiamato a parlare di “razionalità dell’astrologia e delle arti divinatorie” nel Medioevo cercando di rispondere ad una domanda che assillava gli uomini dell’età di mezzo: “è opportuno conoscere il futuro?”.

Per Rapisarda nel Medioevo di astrologia “ne parlavano tutti, dalle élite agli strati più bassi” e non era per nulla irrituale che si pensasse che gli astri influenzassero il mondo terreno: “come il sole asciuga i panni stesi, così gli altri pianeti influiscono sulla vita dell’uomo” era il pensiero dominante. Certamente c’erano pratiche illecite, come la necromanzia, altre come la scapulomanzia e l’astrologia stessa erano accettate. Tanto da arrivare ad una nascita dell’astrologia cristiana.

Il Festival del Medioevo si è concluso con lo spettacolo “L’ombra del Santo”, una sorta di dialogo in musica e canzoni su san Francesco, con Sara Jane Ceccarelli, Lorenzo de Angelis e Paolo Ceccarelli. Il Festival prosegue fino a domenica, mentre cresce l’attesa per l’evento sold out da settimane, con l’incontro con Francesco Guccini in programma sabato 28 settembre alle ore 21.15.