Lì una legge regionale ha introdotto il principio che per una visita, o per un esame specialistico, non si debba superare i trenta giorni dalla richiesta del medico
Di Giuseppe Caforio – Ancora una volta la cronaca deve registrare casi emblematici e molto diffusi di liste di attesa per visite mediche, anche per patologie delicate come quelle oncologiche, che superano l’anno, con effetti facilmente intuibili sotto il profilo della gravità.
Gli impegni assunti dalle Istituzioni sanitarie regionali per l’abbattimento dell’annosa questione delle liste d’attesa, malgrado alcuni segnali positivi, sono risultati non efficaci.
E’ stata addirittura redatto prima un piano regionale per il contenimento dei tempi di attesa e, successivamente, un piano straordinario per le liste d’attesa per le prestazioni di specialistica ambulatoriale.
Il risultato è che ancora oggi, per buona parte delle visite specialistiche, i tempi di attesa sono abnormi e contrari ai principi della prevenzione. E’ infatti notorio che in linea generale, per tutte le patologie, ma in particolare per alcune, a cominciare da quelle oncologiche, la tempestività è essenziale per salvare la vita.
Bisogna avere il coraggio di dire che molti dei morti per tumore sono da addebitare alle lentezze delle indagini diagnostiche.
Non a caso, ormai circa venti anni fa, con uno sforzo enorme, l’Associazione Umbra per la lotta Contro il Cancro aveva provveduto ad acquistare una TAC oncologica nel vecchio ospedale Silvestrini, fortissimamente voluta da Vittorio Menesini, con l’obiettivo prioritario di creare un percorso privilegiato per gli accertamenti oncologici che prevedeva l’esame nel termine massimo di tre giorni e dall’altro con l’intento di sensibilizzare tutti sull’importanza della prevenzione diagnostica.
Purtroppo, malgrado alcuni passi in avanti, ad oggi permangono ambiti delle liste di attesa sconfortanti.
Eppure dovrebbe proprio essere interesse della sanità pubblica, anche in termini economici, azzerare le liste di attesa, perchè arrivare tardi su una diagnosi non significa solo pregiudicare la vita del malato, ma comporta anche un considerevole aumento dei costi di gestione della terapia.
Proprio quest’ultimo aspetto dovrà indurre gli amministratori della Sanità pubblica ad imporre con ogni mezzo, anche con risorse aggiunte, l’azzeramento delle liste.
Il tema è quantomai attuale se solo si pensa che la vicina Regione Toscana, spesso evocata e imitata per molte ragioni, ha introdotto per Legge Regionale il principio che la lista di attesa non può e non deve superare i trenta giorni dalla richiesta di una visita o di un esame specialistico.
Se è vero, come spesso sostengono i vari direttori generali, che le problematiche sono tante e complesse, il vero problema è la volontà.
Volere è potere.
In piena era digitale in cui tutti i medici di famiglia sono adeguatamente e obbligatoriamente dotati di computer e collegamento in rete, vi è ancora l’arcaica procedura per il cittadino di dover prima andare dal proprio medico che redige l’impegnativa e indica il grado d’urgenza della prestazione, poi l’interessato deve andare presso il CUP o una Farmacia, quando sono aperti, e richiedere la visita o l’analisi, aprendo magari una simpatica contrattazione con l’impiegato addetto.
Ma perchè il medico non provvede direttamente, all’atto di redigere l’impegnativa, a collegarsi con il CUP e, consapevole del tipo di patologia e dell’urgenza a fissare la visita o l’analisi in questione?
Perchè occorre oberare il cittadino di un percorso burocratico inutile e dispendioso di tempo prezioso anche ai fini della tempestività della diagnosi?
La sensazione è che tutta la sovrastruttura, con i relativi costi per l’erario pubblico, crei interessi ed appetiti che determinano questo permanere di procedure veramente incomprensibili.
Nell’era in cui si riesce da casa a prenotare alberghi e aerei, ad entrare nei propri conti correnti e a spostare somme di denaro e fare pagamenti, un medico non sarebbe in grado di fissare una visita specialistica o un’analisi diagnostica? Oltre a questa possibilità tanto semplice quanto banale, vi è un’altra anomalia che se solo si volesse potrebbe risolvere decisamente il problema delle liste di attesa.
Perchè mai i laboratori privati sempre più presenti nel territorio umbro, quantunque mai abbastanza, riescono a lavorare 18/20 ore al giorno fissando, con turni, appuntamenti dalle cinque del mattino fino a mezzanotte, invece quelli della Sanità Pubblica, quando le macchine non sono rotte, lavorano 6-10 ore al giorno al massimo?
A pensar male, diceva Andreotti, si fa male, ma qualche volta ci si azzecca!
Qualcuno può credere veramente che problemi sindacali non consentano ai Direttori Generali delle varie Aziende Ospedaliere di creare turnazioni tali da ottimizzare l’utilizzo di macchinari, per altro costosissimi?
Come sempre è questione di volontà.
Se solo si considerasse il risparmio per la Sanità Pubblica che si avrebbe dalle diagnosi tempestive, qualsiasi eventuale maggior onere determinato dall’allungamento delle ore di accesso al pubblico nei vari laboratori diagnostici, sarebbe giustificato, senza considerare il beneficio per l’utente di ricevere un responso in tempi immediati o, quantomeno, ragionevoli.
Insomma, sia per ragioni morali-per non avere sulla coscienza tanti morti-, poi per ragioni economiche- per ridurre i costi della Sanità Pubblica- e, infine, per dovere nei confronti dei propri cittadini, è assolutamente necessario che la Sanità Pubblica intervenga con atti radicali che consentano l’abbattimento delle liste d’attesa foriere di mille problemi.
Bastano tre mosse per cominciare e dare una risposta decisiva al problema: fare una Legge Regionale che obblighi a contenere al massimo la lista di attesa nei trenta giorni riducendoli a otto per le patologie specialistiche a rischio della vita; consentire ai medici di famiglia che contestualmente alla redazione dell’impegnativa entrino nel sistema CUP e fissino la visita o l’analisi necessaria al paziente sulla base dell’urgenza; infine organizzare con obbligo normativo l’apertura dei laboratori diagnostici in un arco temporale quotidiano non inferiore alle 18 ore, corrispondenti essenzialmente a tre turni di lavoro.
Esiste un diritto alla salute costituzionalmente garantito che, ove non si traduca concretamente in un approccio che possa garantire celerità ed efficienza, determina una sconfitta sul piano politico e la possibilità di azione da parte della Corte dei Conti per danni erariali nonché quella di un’azione risarcitoria da parte dei cittadini che subiscano un pregiudizio.
Meditino i nostri politici con oculatezza.