La Cgil ammessa come parte civile
Reclutavano migranti da impiegare nelle campagne del Perugino e dell’Alto Tevere nelle strutture di accoglienza per richiedenti asilo della regione.
Li facevano lavorare anche per dieci/undici ore al giorno pagandoli poche centinaia di euro al mese e senza rispettare alcuna norma di sicurezza.
Accusati di sfruttamento del lavoro e caporalato, andranno a processo un uomo e una donna, rispettivamente presidente e consigliera d’amministrazione di una società cooperativa sociale della provincia di Perugia legata alla Caritas, per i quali il sostituto procuratore Tullio Cicoria ha chiesto e ottenuto dal Gip del capoluogo il processo che si aprirà il prossimo 7 giugno.
Secondo la ricostruzione della Procura i due, domiciliati in provincia di Taranto, fra la fine del 2019 e l’inizio del 2021, avrebbero reclutato nelle strutture di accoglienza 31 richiedenti asilo provenienti dall’Africa o dall’Asia e li avrebbero fatti lavorare in decine di aziende agricole del nord dell’Umbria con paghe da poche centinaia di euro, orari massacranti e condizioni disumane.
A tenere “sotto scacco” i lavoratori era la mancanza di un permesso di soggiorno.
I migranti, spesso sotto la minaccia di vedersi ritirati i documenti per la permanenza in Italia, in alcuni casi erano costretti a pagare 500 euro circa per poter accedere alle sanatorie per la regolarizzazione. A denunciare lo sfruttamento cinque cittadini pakistani scappati da una delle aziende in cui erano impiegati, e nelle quali spesso dormivano.
Il Tribunale ha anche accolto la richiesta di costituzione di parte civile della Flai Cgil, il sindacato delle lavoratrici e lavoratori agricoli.
Una vicenda, ricostruita dal Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Perugia sentendo i migranti sfruttati e le aziende in cui erano impiegati, che dimostra come anche l’Umbria non sia al riparo dal rischio caporalato nelle campagne.