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L’Italia rifiuta le teorie liberiste propugnate dalla Scuola di Chicago di Milton Friedman. Varato il REM, reddito d’emergenza di Bruno Di Pilla - L’economia al servizio dell’uomo. Per un’ordinata vita sociale (e per evitare ribellioni e proteste di massa, in questi duri tempi di chiusura di quasi tutte le attività produttive), è necessario tornare ai princìpi etici dei grandi filosofi greci Platone e Aristotele, condivisi da storici, letterati e commediografi dell’epoca d’oro di Pericle. Nella “Politica” Aristotele anticipò addirittura il celebre mònito che avrebbe enunciato il socialista ricardiano John Stuart Mill nel 1848, quasi tre millenni più tardi: la condizione migliore per la natura umana è quella in cui, mentre nessuno è povero, nessuno ambisce a divenire più ricco. Anche nel IV secolo a.C. il valore d’uso delle merci era ritenuto assai più importante del loro prezzo o valore di scambio. Ideale utopico? Mai come ora, con la pandemia che imperversa in tutto il pianeta e toglie lavoro (e pane) alle classi meno abbienti, appaiono anacronistici e perfino immorali i presupposti filosofici delle opere di François Quesnay e Adam Smith, rispettivamente fondatori della Scuola fisiocratica francese e Classica inglese: utilitarismo, individualismo, liberismo furono i tre pilastri sui quali venne da entrambi elaborato il motto-base del moderno capitalismo “laissez-faire, laissez-passer, le monde va de lui même”, lasciate fare, lasciate passare, il mercato si autogestisce. Oggi la Nazione giusta, come ai tempi della pòlis ateniese, subordina i profitti degli individui più abili e l’intera attività economica alle finalità morali ed alla soddisfazione dei bisogni essenziali del popolo, i cui cittadini in difficoltà hanno il sacrosanto diritto di essere soccorsi ed assistiti dallo Stato-padre. Per evitare che si riformi uno sterminato esercito industriale di riserva – come scriveva Karl Marx nel primo libro del “Capitale”, alludendo alla crescente disoccupazione tecnologica – è necessario che i Governi riscoprano le politiche macroeconomiche suggerite, nel secolo scorso, da John Maynard Keynes, John Kenneth Galbraith e dai neo-keynesiani di Cambridge, tra i quali spiccano anche gli italiani Luigi Pasinetti, Pierangelo Garegnani, Paolo Sylos Labini, Federico Caffè e Luigi Spaventa, che hanno aspramente smentito le fideistiche concezioni monetariste della Scuola di Chicago di Milton Friedman e la spietata “deregulation” (abolizione di ogni legge a tutela della manodopera e dell’ambiente) dei “supply-siders” statunitensi Lucas, Sargent, Wallace, Laffer, Roberts, eredi dell’austriaco Friedrich von Hayek e ferventi assertori di un’integrale ritorno al liberismo di Smith, con la conseguente e totale abolizione di ogni forma di “welfare state”. Guai a chiunque demonizzi, oggi, lo Stato assistenziale! Non avremmo più il Servizio Sanitario Nazionale, con le cure gratuite agli indigenti, la pubblica istruzione assicurata “erga omnes”, né redditi di cittadinanza, d’emergenza e sistematici piani di aiuti alimentari a chi versa in condizioni di assoluta povertà. Marginalisti, monetaristi e supply-siders sono da sempre estranei al modus vivendi della nostra Patria, anche se alcuni dei 27 Paesi comunitari, in testa l’Olanda, fanno orecchie da mercante sui concetti di solidarietà e reciproco aiuto interstatuale. Durerà l’Unione Europea?

Contro la pandemia indispensabile il “welfare state” keynesiano

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