Ma oltre la scienza serve il contributo e la partecipazione del paziente
Di Francesco Castellini – Il diabete è una malattia crudele, da non sottovalutare mai. Come un alieno s’impossessa del corpo, non ne esce più, e se non opportunamente contrastata è in grado di devastarlo senza pietà. Il fatto che sia asintomatica, vale a dire che non dia segni precisi della sua presenza, la rende ancora più infida e sciagurata.
Ma attenzione, perché se è vero che stiamo parlando di un “mostro” vigliacco ed invisibile, che al momento non si può estirpare e vincere, di certo lo si può combattere, efficacemente contrastare, tenere sotto controllo fino ad annullarne tutti i guasti che potrebbe provocare. E’ tutta una questione di equilibri da mantenere, di livelli di zuccheri da riportare costantemente alla normalità, di una dieta oculata e di uno stile di vita adeguato. E per contribuire alla cura ci sono farmaci e procedure che se adottate con criterio e sistematicità, consentono di vivere una vita normale. Tanto che alla fine si può dire che tutto dipende dal paziente, dalla sua costanza nel seguire le terapie, dalla sua buona volontà nel perseguire direttive e modelli di vita corretti.
Al professor Paolo Brunetti, emerito scienziato che ha dedicato l’intera vita professionale a studiare il diabete e ad individuare rimedi e terapie, abbiamo rivolto alcune domande sull’argomento.
Professore, può farci innanzitutto un quadro aggiornato della situazione?
“Il diabete è una malattia in crescente diffusione. In Italia l’8 per cento della popolazione adulta è affetta dal diabete. In circa il 95% dei casi di tratta di diabete di tipo 2. Si stima, inoltre, che un ulteriore 1,5-2% della popolazione sia affetta da diabete, ma non sappia di averlo. Negli anziani la malattia è più comune: nella fascia d’età maggiore di 65 anni la prevalenza è del 13%-14%. La prevalenza del diabete è in forte aumento e, in pratica, si è verificato il raddoppio dei casi nell’arco degli ultimi 40 anni. Studi italiani indicano che ogni anno circa 8 persone su 1.000, di età compresa tra 40 e 79 anni, sviluppano il diabete. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che nell’anno 2030 nel mondo ci saranno 360 milioni di persone con diabete, rispetto ai 170 milioni del 2000, con evidenti importanti ripercussioni sulla vita dei pazienti e delle loro famiglie e sui costi e l’organizzazione dei sistemi sanitari. In Umbria possiamo calcolare che ci siano circa 60mila persone affette dalla malattia, di cui una certa quota, un quinto di questa, non sa di essere malata”.
Chi è più a rischio?
“Chiunque può essere colpito dal diabete, anche se la probabilità di sviluppare questa malattia è maggiore se si ha una relazione di parentela in primo grado (genitori, figli, fratelli) con una persona diabetica e, per il diabete di tipo 2, si è obesi, ipertesi o si hanno valori elevati di grassi nel sangue (trigliceridi, colesterolo). Soprattutto il diabete di tipo 2 è il più diffuso e il più pericoloso. Il più delle volte si manifesta quando si presentano delle complicanze, soprattutto di tipo cardiovascolare. Il pericolo è dato proprio dall’iperglicemia cronica che può provocare una maggior influenza di infarto, di ictus, ma anche piede diabetico, complicanze di tipo oculare, renale, che possono portare alla necessità di ricorrere al trapianto. Può generare anche neuropatia diabetica. Quindi diciamo è una malattia assai pericolosa, sia per la grande diffusione, sia per l’importanza delle complicanze. Naturalmente la quota maggiore è rappresentata dal diabete di tipo 2. Una quota minore, forse il 10 per cento, è rappresentata dal diabete di tipo1”.
Si conoscono le cause che determinano la patologia?
“Il diabete di tipo 2 è legato fondamentalente a due fattori: la sedentarietà e l’aumentato apporto calorico. In particolare l’obesità inguinale, e quindi la circonferenza alla vita, diventa fattore più importante dello stesso indice di massa corporea nel determinare la predisposizione al diabete. Dunque non c’è dubbio che alla base del diabete 2 ci sia uno stile di vita errato. Oggi si assiste a questa manifestazione di malattia anche nell’infanzia. E tanto è precoce la comparsa del diabete tanto maggiore è la possibilità che si sviluppino delle complicanze”.
Malattia tipicamente cronica. Non ce se ne può liberare.
“Purtroppo non esiste una cura che porti alla guarigione. Tutto è legato al danno che una quantità eccessiva di glucosio produce a livello dei tessuti, facendoli invecchiare precocemente. Il glucosio si lega a determinate molecole, alle proteine plasmatiche, al tessuto collageno, al tessuto connettivo, alla parete vascolare. Alla base di tutto questo c’è anche una predisposizione genetica, che non si manifesterebbe se ci fosse uno stile di vita adeguato”.
La medicina quali armi ha a disposizione?
“Intanto la più efficace rimane di certo la prevenzione. Stiamo cercando di “svelare” il diabete misconosciuto. L’iniziativa che stiamo portando avanti come Associazione Italiana Lyons per il Diabete e con la collaborazione di Federfarma Umbria, che ha messo a disposizione più di cento farmacie della regione per fare uno screening sulla popolazione, è davvero importante. Più di seimila contatti nella regione hanno permesso di riscontrare un numero notevole di diabete misconosciuto. Circa 150 soggetti che non sapevano di essere malati. E in più sono stati individuati anche soggetti che avevano un rischio elevato di sviluppare il diabete. Il lavoro è quello di svelare i diabetici non conosciuti in modo di curare il diabete ed evitare lo sviluppo delle complicanze e analogamente agire per migliorare lo stile di vita per prevenire il diabete. Un lavoro a cui può contribuire in maniera decisiva il coinvolgimento dei medici di base. Da quarant’anni in poi controllare la glicemia almeno una volta all’anno diventa fondamentale”.
Quindi da una parte il lavoro di prevenzione per affrontare il problema il prima possibile, dall’altra c’è la terapia.
“Ma, intanto va subito specificato che il diabete di tipo 2, che è la forma più frequente, si cura principalmente con una dieta adeguata, un buon esercizio fisico, con farmaci orali e solo in una minoranza dei casi con l’insulina. Il diabete di tipo 1 è una condizione molto diversa. Si manifesta soprattutto prima dei 40 anni in modo spesso improvviso e con sintomi sempre palesi (dimagrimento, aumento della diuresi cioè della quantità di urina prodotta, sete eccessiva, disidratazione…). C’è poi il diabete gestazionale, che è una forma temporanea di diabete presente nel 6-10% delle gravidanze. Esistono poi altre forme di diabete per così dire “intermedie” fra il tipo 1 e il tipo 2, come il Lada (diabete autoimmune dell’adulto), che insorge nella seconda parte della vita come il diabete di tipo 2, ma evolve presto verso la completa dipendenza dalla somministrazione d’insulina come avviene nel diabete di tipo 1, o particolari forme di diabete determinate geneticamente e presenti in più membri di una stessa famiglia. Infine il diabete può essere secondario, cioè causato da un’altra malattia del pancreas o di altri organi, o da una terapia (la più frequente è quella con i farmaci cortisonici)”.
Quali le nuove vie di ricerca?
“Venendo alle cose più concrete in questi ultimi anni abbiamo assistito ad una esplosione di nuovi farmaci. Fino a pochi anni fa la terapia del diabete era limitata, ma negli ultimi anni si sono aggiunte delle classi farmacologiche nuove e decisamente notevoli. Sono le Gliptine e gli analoghi del Glpiù 1, che sono farmaci ad effetti incretinico. Le encretine che sono degli ormoni prodotti dall’intestino che agiscono sul pancreas stimolando la secrezione insulinica. Questo è un capitolo nuovo che fino ad un certo numero di anni fa era del tutto sconosciuto e che ha riportato in primo piano il ruolo dell’apparato gastroenterico, dell’intestino, nella genesi del diabete di tipo 2 che fa abbassare la clicemia e di ridurre il peso corporeo. Farmaci che possono essere iniettati una volta alla settimana. Le gliptine, inibitori, sono in realtà delle molecole che inibiscono la degradazione del Gl più1 endogeno. Queste classi di farmaci hanno mandato in pensione le sulfamilure, farmaci che coprono ancora la maggiore quota di mercato, che stimolano la produzione di insulina da parte del pancreas con il rischio di ipoglicemia. Se vogliamo completare il panorama dei farmaci nuovi. Glifozine, un gruppo di molecole, che sono degli inibitori dell’assorbimento del glucosio a livello renale. Ed è particolarmente importante perché studi molto recenti e autorevoli hanno dimostrato che soggetti trattati con questa classe di farmaci hanno una minore incidenza di malattie cardiovascolari”.
In Italia stiamo parlando di livello di cura buona.
“Circa 600 centri diabetologici. Anche in Umbria, ogni città ha un servizio di diabetologia. Questo da quando è stata formulata la legge sul diabete, l’unica malattia che ha avuto una legge propria. Fra i migliori centri d’Italia anche Perugia. Nel ’95 il nostro centro era il secondo a livello nazionale. Ho iniziato io. Prima non si parlava di diabete. Che è stata continuata dopo dal professor Fausto Santeusanio, dopo di me dal professor Geremia Bolli. E così Perugia rimane un centro d’eccellenza. Un’altra novità è la gamma di insuline nuove che si è andata sviluppando. Perché fare bene la terapia insulinica non è facile. Bisogna fare una serie di iniezioni al giorno e una dose di insulina ad azione prolungata. E questo rende la vita più comoda e riduce il rischio di ipoglicemia. Oggi abbiamo degli infusori che infondono in maniera continua l’insulina”.
Terapia cellulare?
“Parliamo delle cellule mesenchimali del cordone ombelicale. Si tratta di un tentativo di riprodurre un organo che produce insulina partendo da cellule staminali indifferenziate. Di questo se ne sta interessando un altro mio allievo, il professor Riccardo Calafiore, attualmente dislocato a Terni dove sviluppa questo tipo di attività, proprio attraverso Laid abbiamo inaugurato con la partecipazione del centro Demetria, un centro di ricerca specificatamente dedicato al diabete”.
Terapia genetica?
“Mi sembra ancora un pochino di là da venire. Alla genesi del diabete di tipo 2 partecipa una miriade di geni. Ci sono tantissime ricerche di tipo genetico e in ogni ricerca si è messo in evidenza una quota di geni. Un condizionamento multigenico non facilita un approccio lineare”.
Si può affermare che con il diabete si può convivere e guardare al futuro.
“Forse distinguerei. Per il diabete di tipo1 si può guardare al futuro con ottimismo, soprattutto se si riesce a tenere sotto controllo la glicemia e quindi ad evitare valori alti e mantenere l’emoglobina fra il sei e il setto per cento. In generale dal diabete ci si può difendere ma è richiesto un contributo, una partecipazione del soggetto, che deve gestire con cura i farmaci, ma anche svolgere un’attività fisica, tutta una serie di cose che messe insieme consentono di fare una vita complicata, ma di andare avanti. Mediamente il diabete accorcia la vita di 5/6 anni, ma a determinare questa valutazione negativa concorrono soprattutto di fatto quei soggetti che non collaborano e non seguono norme corrette. Altrimenti a tutti si può dare un messaggio globale positivo, le novità in campo medico e scientifico sono molte e significative, e sono convinto che questa patologia molto presto potrà essere ancora più tenuta sotto controllo e contenuta nei suoi effetti più nefasti”.