Home Evidenza Ha origini storiche il detto ricorrente “andare a Canossa”

Ha origini storiche il detto ricorrente “andare a Canossa”

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Matilde di Canossa

Congiura dei Pazzi e le pesanti vendette nella Firenze dei Medici

Tra i tanti modi di dire della lingua italiana, uno ce n’è che, se offendi qualcuno, per farti perdonare, devi andare a Canossa. Se il disdoro causato è vicino all’oltraggio, allora ci devi andare ginocchioni. L’invito ha origini storiche. Si racconta così: Nell’inverno gelido del 1077, l’Imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV dovette attendere per tre giorni e tre notti, dinnanzi all’arcigno maniero di Matilde di Canossa, prima di essere ricevuto e perdonato da Papa Gregorio VII. Sembra questa la sintesi di una rappresentazione teatrale. Con i protagonisti scritti in neretto.

Gregorio VII spese parte del suo pontificato per affermare la superiorità del potere papale sul potere laico. Scrisse il “Dectatus Papae” per avere l’esclusiva di nomina i Prelati della Chiesa ovunque fossero.
Trovò di opinione contraria Enrico IV e subito scoppiò la lotta per le investiture, quando il “laico” pretese di eleggere lui il Vescovo della Diocesi di Milano. Il Papa scomunicò Enrico ed Enrico destituì Gregorio. Si azzuffarono come il cane e il gatto. La scomunica però aveva un peso enorme, perché esonerava il mondo cattolico dall’obbedienza al dettato imperiale. E poi, destituire un sant’uomo seduto sul trono di Pietro, suvvia, rappresentava un atto sacrilego.

Tra i contendenti, per tentare la riconciliazione, entrò in scena la Contessa Matilde di CanossaEra costei donna di ferro, sostenitrice del Papato (anche a mano armata) e di profonda fede. Se fosse vissuta tra il XV e il XVI secolo, la potremmo appellare “capitana di ventura”: però operante con devozione. Un monaco del suo tempo la definì “splendente fiaccola che arde in un cuore pio”. La biografia parla però di un suo marito, sposato per ragion di stato, morto ammazzato sopra la tazza del cesso, pare con la complicità della pia moglie. Nella pietra del sepolcro di Matilde, scolpito da Gian Lorenzo Bernini, sta scritto: “Onore e gloria d’Italia”.

 Aveva un castello a Canossa, in provincia di Reggio Emilia, nell’Appennino reggiano, dove, per qualche tempo, tenne ospite Gregorio. Fu a Canossa che Enrico decise di recarsi per fare atto di penitenza per eliminare l’ingombro della scomunica. E fu lì che rimase umilmente all’addiaccio (faceva un freddo cane) prima d’essere ammesso alla augusta presenza del Pontefice. Dunque, Enrico andò a Canossa ed ebbe il perdono. Però, umiliato ed offeso, fece vendetta: convocò un Concilio a Bressanone che elesse l’Antipapa Clemente III e da lui si fece incoronare Imperatore a S. Pietro. Siccome Matilde aveva donato tutti i suoi beni alla Santa Sede, si beccò il bando imperiale.

La storia racconta di un lungo confronto tra le milizie di Matilde e l’esercito di Enrico. Se le dettero di santa (sic) ragione, con la partecipazione straordinaria di Clemente. La Contessa morì nel 1115, gli altri due “attori”, Gregorio nel 1085 ed Enrico nel 1106. Della vicenda è rimasto il detto, “con tante scuse, sono venuto a Canossa”. Il dissidio tra potere religioso e potere temporale ebbe una replica nel 1872, quando il Cancelliere tedesco Otto Bismarck disse: “Noi non andremo a Canossa, né con il corpo, né con lo spirito”. Volendo intendere che i tedeschi non avrebbero accettato alcuna interferenza esterna di natura politica, religiosa e culturale.

Proseguendo nello scrivere dei conflitti medievali, aventi sapore mezzo laico e mezzo cattolico, mi sono imbattuto nella famosa e violenta Congiura dei Pazzie mi permetto di riassumere pure questa.  E’ il 1478 e siamo nella Firenze governata dai Medici che ebbero momenti di gloria e altri un po’ meno. Comunque, una dinastia sostenuta da rilevante forza politica e finanziaria. Per molti anni, a Firenze, Medici e potere furono sinonimi. Però, con loro la città toscana assurse a soggetto di peso in Italia e in Europa, una culla della cultura e delle arti, realizzando un clima di splendore.

 Il massimo del mecenatismo lo raggiunsero con Lorenzo, non per caso detto il Magnifico. Da “casa Medici” uscirono anche tre Pontefici, i due Leone X e XI e Clemente VII, insieme a numerosi alti Prelati. Tanto che la “Banca Medici” divenne la cassaforte della Santa Sede. Portarono il cognome Medici, Caterina e Maria, entrambe mogli di Re di Francia, le quali, rimaste vedove, diventarono addirittura Regine reggenti per conto dei figli minori.

Insomma, un potentato ragguardevole che aveva tessuto una vasta rete di relazioni e che impose il suo gioco, seppure sorretto dal consenso popolare. Un po’ meno con l’assenso di altre famiglie nobili: per esempio quella dei Pazzi, ricchi banchieri pur’essi, e insofferenti della situazione sottomessa. Organizzarono una cospirazione contro l’egemonia medicea, con l’appoggio tacito di Papa Sisto IV (Francesco della Rovere) e la regia di Jacopo e Francesco de’ Pazzi, coadiuvati dall’Arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, ch’era avversato da Lorenzo il Magnifico. Tolti di mezzo i Medici, il governo fiorentino sarebbe dovuto andare a Gerolamo Riario, signore di Imola e Forlì.

Per uccidere Lorenzo e Giuliano, si pensa per primo al veleno, ma la mossa va a vuoto. Il 26 aprile 1478, il diciottenne Raffaele Riario, per festeggiare la sua porpora cardinalizia appena ricevuta, invita il gotha cittadino alla solenne messa domenicale in Santa Maria del Fiore, Duomo di Firenze. Giuliano non sta bene, ha problemi ad una gamba. Allora gli fanno la cortesia di andare a prendere in casa per portarlo in Chiesa: l’attentato mica si poteva fare a metà. Qualcuno lo abbraccia addirittura per capire se indossa il “giaco protettivo” sotto la veste. Un paio di cospiratori si ritira perché uccidere persone in luogo sacro lo ritiene peccato supermortale. In sostituzione vengono ingaggiati due preti, con il compito di colpire Lorenzo. Sprovveduti nell’uso del pugnale, lo feriscono soltanto di striscio. Giuliano invece finisce ammazzato, proprio mentre l’Ostia è esposta all’altare. Il trambusto è enorme e Lorenzo si barrica in Sacrestia. L’assalto ha fallito l’obiettivo principale e la vendetta si scatena tremenda con la sadica partecipazione dei fiorentini. Nessuno dei congiurati si salva, neppure l’Arcivescovo Salviati. Lo impiccano, insieme a Francesco de’ Pazzi, alle finestre di Palazzo Vecchio: Agnolo Poliziano, intellettuale alla corte medicea, scrisse di una macabra scena di cannibalismo.  Lorenzo nulla fa per placare la folla e il Papa gli lancia la scomunica. Seguì quasi un anno di battaglie in Toscana, sino agli accordi di pace che “seppellirono” definitivamente la storica cospirazione, rafforzando addirittura il potere dei Medici che si voleva abbattere.
Adriano Marinensi