Sono 2.304 gli occupati, al costo medio di 49mila euro. Il rapporto del Centro studi di Unimpresa rileva anche una situazione debitoria preoccupante
Di Francesco Castellini – È risaputo che le società partecipate danno lavoro a tantissime persone. Ora il rapporto del Centro studi di Unimpresa rileva che nelle controllate dagli enti locali sono impiegate per l’esattezza 237mila persone, per un totale di 11 miliardi di stipendi.
Calcolatrice alla mano si è dunque evidenziato che il costo medio per dipendente è pari a 45mila euro: picco massimo in Valle d’Aosta con 110mila euro, e livello minimo in Molise con appena 23mila euro. In mezzo si colloca l’Umbria, con 49mila euro a lavoratore, una cifra che comunque la posiziona sopra la media nazionale.
Il Centro studi di Unimpresa ha compiuto l’indagine basandosi su dati della Corte dei conti, e dunque prendendo in esame le aziende che hanno correttamente presentato i bilanci relativi all’esercizio 2014 approvati nel corso dell’anno successivo: vale a dire 4.217 aziende e organismi su un totale di 7.181.
Dall’analisi emerge che il record di impiegati di imprese pubbliche è in Lombardia con 51 mila addetti; dall’altro lato della graduatoria la Basilicata, con solo 405 addetti, mentre se andiamo a vedere nei dettagli l’Umbria, risulta che nella nostra regione sono collocati 2.304 dipendenti.
In totale le società partecipate hanno generato utili per meno di 3 miliardi, e in compenso hanno accumulato debiti per oltre 83 miliardi di euro e, solo nell’ultimo anno, perdite per 962,6 milioni.
Ben 469 imprese (l’11,12% del totale “censito”) hanno conti in rosso da tre anni, con una perdita pari a 534 milioni, solo negli ultimi 12 mesi.
Ed è il settore dei trasporti (col 10% del totale) quello che registra il maggior numero di imprese in perdita (114).
Per quanto riguarda l’assetto di controllo, sul totale di 4.217 soggetti passati in esame, 2.642 sono a partecipazione mista pubblico-privato e 1.575 risultano a totale controllo pubblica.
Quanto alla ripartizione per forma giuridica, sul totale di 4.217 aziende esaminate, 1.233 sono società per azioni, 1.243 società a responsabilità limitata, 392 società consortili, 115 cooperative, 393 consorzi, 368 fondazioni, 473 istituzioni varie e aziende speciali.
Se si prendono in considerazione tutte le 7.181 aziende controllate da enti pubblici, si scopre che le spa sono 1.863, le srl 2.154, le società consortili 706, le cooperative 192, i consorzi 869, le fondazioni 572, le istituzioni varie e le aziende speciali 825.
Ma ad aggravare la situazione è il dato che rivela come, mentre da una parte si registra un calo del debito pubblico di Comuni, Province e Regioni negli ultimi due anni, di quasi 10 miliardi di euro, dall’altro la voragine nelle finanze statali è cresciuta di oltre 100 miliardi.
Dunque se il “rosso” degli enti territoriali è sceso da 99 miliardi a 89 miliardi (-9%) dal 2014 al 2016, quello delle amministrazioni centrali è schizzato da 2.037 miliardi a 2.138 miliardi (+5%), col risultato che il debito pubblico italiano è arrivato, alla fine dello scorso anno, a quota 2.228 miliardi, in crescita di 91 miliardi (+4%) rispetto alla fine del 2014.
Secondo l’analisi dell’associazione, basata su dati della Banca d’Italia, è proprio la performance negativa dello Stato centrale ad aver contribuito a far impennare il totale del debito pubblico del Paese.
Sulla questione c’è da registrare il commento del presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.«I dati sono utili per riflettere sugli indispensabili tagli alla spesa pubblica. Negli ultimi anni si è spesso puntato il dito contro le autonomie locali, sostenendo che i disastri della finanza pubblica siano provocati dalla periferia e non dalle amministrazioni centrali. Invece, è evidente come proprio a livello territoriale si registri una gestione virtuosa del debito, ridottosi a tutti i livelli nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni».
A fronte di tutto questo la Corte dei Conti Umbria ha convocato il 30 dicembre scorso la Sezione di Controllo sulle attività partecipate e alla fine ha approvato la relazione riguardante “referto sui piani di razionalizzazione delle società partecipate da enti pubblici aventi sede in Umbria”.
Vi si legge fra l’altro: “Dall’insieme dei dati acquisiti emerge che gli enti pubblici con sede in Umbria vantano partecipazioni dirette in 108 società. Di queste, il 75% hanno sede legale nella regione. Gli enti tenuti a predisporre e trasmettere il piano di razionalizzazione sono complessivamente 96. Di contro, i piani pervenuti sono 93 (non vi hanno ottemperato i comuni di Nocera Umbra, Valtopina e Monte Santa Maria Tiberina). L’81,7% degli enti interessati ha allegato al piano l’apposita relazione tecnica, prevista dal citato comma 612 al fine di motivare, sulla base di dati ed elementi oggettivi di tipo anche prospettico, le scelte dell’ente. Il 16% degli enti, dopo aver definito il piano di razionalizzazione, non hanno poi predisposto la relazione sui risultati conseguiti”.
La Corte rivela inoltre che “raramente i piani hanno offerto analisi accurate della situazione economico-patrimoniale delle partecipate o si sono soffermati sui rapporti di debito-credito e sulla congruità dei finanziamenti erogati alle società partecipate. Molti piani sono risultati incompleti, specie per quanto riguarda le partecipazioni indirette, spesso non indicate o indicate solo se possedute tramite partecipazioni di controllo. La scelta di mantenere la partecipazione è risultata in molti casi immotivata in ordine alla “indispensabilità” della stessa, in tanti casi assunta sulla base di affermazioni generiche e senza evidenziarne il collegamento con le finalità istituzionali dell’ente”.
Insomma la Corte dei Conti dell’Umbria alla fine dà una lettura critica e severa dell’insieme, e lancia un monito: “È dall’inizio degli anni Ottanta che quote sempre maggiori di ricchezza regionale sono state gestite attraverso le società controllate. Con risorse economiche pubbliche sono state create società di capitali esterne, che hanno occupato il campo dell’economia regionale in vari settori e oltre lo spreco di risorse e il raggiungimento dei risultati, come segnala la relazione, a rimetterci sono sempre i cittadini che insieme ad una parte degli enti non partecipano più alla gestione del proprio territorio a vantaggio dei privati. Non c’è coinvolgimento popolare nella guida, nelle responsabilità e nei benefici di questa azione economica: esistono asset strategici che non si possono lasciare ai privati. È dunque necessario mettere persone competenti al posto giusto e che il Pubblico torni al servizio dei cittadini e anche per questo occorre dire no a spinte liberiste riprendendo in mano le redini del Paese”.