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In calo in Umbria il numero dei Neet: lo rileva una ricerca dell’AUR

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I giovani umbri dai 15 a 34 anni che non lavorano, non studiano, non sono coinvolti in percorsi formativi, sono scesi sotto le 20 mila unità

In Umbria è diminuito il numero dei cosiddetti Neet, vale a dire quei giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione. Considerati per questo specchio del disagio di una generazione.

Se per anni i numeri del fenomeno sono stati allarmanti, la buona notizia è che stanno diminuendo. Secondo l’ultima ricerca dell’AUR, nel 2023 i giovani umbri dai 15 a 34 anni che non lavorano, non studiano, non sono coinvolti in percorsi formativi, sono scesi sotto le 20 mila unità (erano quasi 32 mila nel 2018), per una flessione del 38,8 per cento, nettamente superiore alle aree benchmark, soprattutto Italia e regioni settentrionali.

Come rileva la ricerca firmata da Elisabetta Tondini, in Umbria i Neet sono copiosamente diminuiti per diversi motivi: un po’ perché i 15-34 enni sono diventati numericamente di meno, un po’ perché è aumentato il numero di occupati (passati da quasi 74 mila a oltre 75 mila), con l’esito congiunto di un incremento del tasso di occupazione 15-34 anni, salito nel 2023 al 46,4 per cento (dal 44,2 del 2018).

Secondo lo studio Aur a provocare il forte ridimensionamento dell’universo Neet nella regione si deve da una parte all’allungamento della partecipazione a percorsi di istruzione e dall’altra all’allentamento dell’abbandono scolastico.

Il tasso di partecipazione all’istruzione dei giovani dai 15 ai 24 anni presenta nella regione una dinamica particolarmente sostenuta negli ultimi anni: l’indicatore sale, nel periodo 2018-2022, dal 63,7 al 68,1 per cento, e pone l’Umbria al di sopra dei livelli italiani e di quelli delle regioni del Nord (ma non quelle del Centro) e anche al di sopra del valore medio europeo. In particolare, quello relativo ai soli 17enni colloca la regione sempre al di sopra di tutte le aree benchmark.

Nel dettaglio, per l’Umbria è evidente l’aumento progressivo degli alunni iscritti alla scuola secondaria di secondo grado, alimentato in particolare dalle preferenze verso gli orientamenti generali a discapito degli indirizzi professionali (+30,2 contro -9,4 per cento dal 2013 al 2021).

Dunque i numeri della ricerca parlano chiaro, e ribadiscono ancora una volta l’importanza dell’investimento personale in istruzione e formazione quale potente strumento per sviluppare le capacità di pensiero, di azione, relazionale e per agevolare la collocazione sociale e nel mondo del lavoro, a prescindere dalla situazione di provenienza. D’altro canto, agire a livello pubblico per contrastare l’esclusione e l’estraniamento giovanile dalla vita lavorativa deve continuare a costituire un impegno imprescindibile, per arginare uno spreco di potenziale umano che ha un costo rilevante sul piano sia sociale sia economico. Oltretutto, perché sarebbe un paradosso lasciare disperdere una risorsa già scarsa che, come tale, andrebbe invece valorizzata appieno.