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In Umbria cresce il tasso di occupazione delle donne

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Un dato positivo compensato però dal fatto che una su tre ha un impiego che risulta sottodimensionato rispetto al titolo di studio

In Italia per le donne il mondo del lavoro è ancora caratterizzato da molte difficoltà e discrepanze fra generi. Tanto che una su cinque finisce per lasciarlo dopo essere diventata madre.
E il nostro Paese si posiziona fanalino di coda nell’Ue per il tasso di occupazione femminile.

Guardando poi alla situazione nazionale si registra “un divario anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro”: le donne occupate sono circa 9,5 milioni, contro i 13 milioni di maschi occupati.
Inoltre, una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità.

In Umbria, c’è un dato in controtendenza rilevato da una ricerca di Aur che attesta un miglioramento della situazione lavorativa delle donne in Umbria e che registra come nel 2023 il tasso della presenza di lavoratrici sia aumentato di un punto percentuale. Compensato però dal fatto che il 37,2 per cento ha un impiego che risulta sottodimensionato rispetto al titolo di studio.

E sottolineando anche il fatto che in questa fascia di età l’occupazione in Umbria per gli uomini è salita in modo molto più importante: dal 77,6 all’80,5%.

Come riporta La Nazione “cresce il tasso di occupazione tra 20-64 anni che passa dal 62,2% del 2022 a 63,3% (ma si allontana leggermente dal dato del Nord, che arriva al 67,0%)”.

Le umbre inoltre si caratterizzano però, rispetto al Nord Italia, per un più alto tasso di mancata partecipazione al lavoro (15% che è invece superiore alla media del Paese, 19,6) e per più alte quote di part-time involontario e di tempi determinati sul totale dei dipendenti (19,3%).

Rispetto all’Italia, l’Umbria spicca per incidenza di lavori a termine da almeno 5 anni (17,6 contro 17,4) e per rilevanza di lavoratrici sovra-istruite, ovvero occupate in profili sottodimensionati rispetto al livello di istruzione posseduto: qui in pratica più di una lavoratrice su tre (il 37,2% contro il 29,8 dei lavoratori uomini) ha un impiego ‘inferiore’ rispetto a quello che ha studiato.

“Una maggiore inclusione delle donne nel mercato del lavoro – spiega Elisabetta Tondini di Ageniza Umbria Ricerche – aiuterebbe fortemente la crescita economica come dimostrato da un recente studio di Banca d’Italia secondo cui, a parità di altre condizioni, un aumento del 10 per cento del tasso di attività femminile accrescerebbe il Pil di circa la stessa percentuale nel lungo periodo. Se più donne lavorassero – aggiunge – il sistema socioeconomico ne trarrebbe grande beneficio, in primis perché si ridurrebbe di molto la fragilità e il rischio di povertà familiare. Si produrrebbero inoltre effetti positivi sullo sviluppo intanto per le donne stesse, in termini di riconoscibilità economica e sociale, quindi per la collettività (crescita del reddito e irrobustimento della struttura demografica). Da ultimo – conclude Tondini -, ma non per ultimo, per ragioni di libertà: di azione, di pensiero, di sicurezza personale, poiché l’indipendenza economica è sicuramente il più potente antidoto contro la violenza di genere”.