Home Musica Montepulciano, Adriano Falcioni e l’integrale di Haendel per organo e orchestra

Montepulciano, Adriano Falcioni e l’integrale di Haendel per organo e orchestra

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Serata per il festival Cantiere Internazionale d’arte diretto da Mariangela Vacatello

Valeva la pena di fare un po’ di strada per godersi domenica scorsa il bel concerto che Adriano Falcioni, il nostro organista della Cattedrale Laurenziana ha realizzato all’interno del cartellone del 49esimo festival Cantiere Internazionale d’Arte, la cui direzione artistica è stata affidata alla pianista Mariangela Vacatello, bel nome del corpo docente del Conservatorio Morlacchi.

Il luogo scelto per la delibazione di un concerto dai contorni altamente stilistici è stato il monumentale tempio di san Biagio, con la sua croce greca voluta a metà dal Cinquecento da papa Leone Decimo. In un contesto urbano in cui alita la memoria del Poliziano, l’euritmia delle forme di san Biagio edificato da Antonio Sangallo il Vecchio ha manifestato una imprevedibile capacità di assorbire il suono e di proiettarlo nella altissima cupola. Condizioni insperate per il nostro Adriano, abituato a domare la bizzarra acustica della nostra chiesa metropolitana. Eppure anche qui ci si è messo di trasverso qualcosa, perché l’umidità ha reso difficile l’intonazione del settecentesco Contucci della navata sinistra e si è reso necessario ricorrere a un portativo posto davanti all’altare maggiore. L’impresa a cui Adriano ha dato vita aveva una precisa indicazione: “La gioia della musica” e non poteva essere diversamente per una proposta che condensava in due appuntamenti l’esecuzione dell’op. 4 di Handel. Musica londinese a tutti gli effetti, scritta dal beniamino di re Giorgio II in un contesto di trasformazione dai ruoli di autore di opera in lingua italiana a una investitura di cantore di grandi gesta oratoriali in inglese. Naturalmente per assicurarsi quella popolarità che Haendel si era già assicurato sul palcoscenico italiano: ma per essere sepolti a Westminster ci voleva l’epica biblica propria alla confessione anglicana. Difficile nella storia trovare un autore come Haendel capace di rimanere grande anche attraverso le successive mutazioni.

All’inizio del concerto Mariangela Vacatello, con la grazia della sua intelligenza, ci ricordava come il maestro sassone usasse i suoi concerti per organo e quindi anche questa op. 4, per intervallare le grandi opere oratoriali proposte alla riflessione dei londinesi. Che poi Haendel dominasse la scrittura per coro e l’utilizzo dell’organo, “A wonderful machine comparable to a living creature”, come era stato definito, era tutta una faccenda rinascimentale che il musicista tedesco aveva certamente assimilato nei suoi anni di apprendistato romano. Facile per lui irrorare le chiese romane come i templi londinesi della sua musica zampillante, fresca e rasserenante. Che cosa fosse poi per gli Albionici la musica di Haendel ce lo ricorda un romanzo vittoriano, “Erewohn” in cui Samuel Butler ha espresso la fascinazione per una musica che entusiasma al suo solo enunciarsi: “un uragano di immense armonie, di arpeggi risonanti tutt’intorno”.

Adriano Falcioni, in quello che era il primo della integrale dei concerti dell’op.4 ci ha dato tutto quello che cercavamo: finezza di eloquio, competenza timbrica, combinazione di tinte e colori, senso fisico gioioso nel dominio della tastiera. Lo ha accompagnato una orchestra giovanile, la Poliziana, ben diretta da Alessio Tiezzi.

Tornando all’enunciato dalla Vacatello ecco avverarsi la sua particolare proposta: le pagine oratoriali in san Biagio non erano lo sfondo, ma il contorno dei concerti haendeliani. Qui una bella corale, la Poliziana anch’essa, integrata dal gruppo corale Le Grazie, diretta da Judy Diodato, con due bellissimi inserti da Ester e da “Alexander Feast”. Belle polpe vocali di quegli splendidi affreschi a cui ci aveva abituato la Sagra Musicale Umbra di Francesco Siciliani. San Biagio, di suo, ci ha messo la monumentalità, la musica di una architettura ritmata secondo le auree misure del suono, la prospettiva del sogno dell’Umanesimo. Non ha turbato nessuno l’inopinato inserto di una pagina organistica commissionata dal Cantiere a un compositore tedesco, Wolfgang Kleber. Un darmstatiano classe 1958, “duro e puro”, che Falcioni ha voluto suonare sul Cantucci della cantoria. Musica desunta da un salmo, ogni capoverso una nota secondo le combinazioni seriali con un risultato di piene efficacia strumentale. Musica un po’ cupa, ma in tanto splendore vitruviano ci poteva stare.

Pieno successo per Falcioni con la consapevolezza che, in san Lorenzo, organo e orchestra sarebbe impossibile in quella acustica a cui nessuna sembra saper mettere soluzione. Finalmente lo spazio giusto per un organista dalle eccezionali competenze strumentali.
Stefano Ragni