L’inchiesta di Umbria Settegiorni aveva anticipato il blitz sulla Gesenu
Articolo apparso su Umbria Settegiorni di metà novembre, quando non era ancora scattato il blitz “Spazzatura d’oro”
di Francesco Castellini – L’Umbria dei malefici prodigi. Da queste parti dal letame non nascono fiori, piuttosto qui certi opalescenti rifiuti possono trasformarsi come per incanto anche in diamanti purissimi.
Su questi strabilianti “miracoli” vogliono vederci chiaro gli inquirenti di Perugia, mossi dal sospetto che i sacchi della spazzatura possano alimentare un sistema che opera in odore (si fa per dire) di mafia, capace di arricchire personaggi equivoci, magari coadiuvati da ditte private a capitale pubblico.
L’indagine in corso servirà anche a comprendere fino in fondo il ruolo svolto dalla politica e da coloro che sono chiamati a controllare. Ma intanto la cosa, in attesa di delucidazioni, resta fonte di perplessità e di esalazioni insopportabili.
Ma al di là della questione “mafia” sulla quale si attende che si pronunci la Magistratura, ciò che indispettisce è che a ben vedere siamo in presenza di una grossa presa in giro, che vede come ignari protagonisti e vittime gli stessi utenti.
Funziona così: noi tutti pensiamo che quello pazientemente dividiamo on tanto scrupolo, animati da senso civico, venga riciclato e riutilizzato come ci è stato annunciato e promesso, ma la verità è un’altra. La questione è che i rifiuti selezionati destinati al recupero e al riciclo, poi per una buona metà viene buttato all’ammasso.
E’ la fiction dei monnezzari, altrimenti titolabile “lo sporco giochino dei tre pacchi”, caratterizzata da rigide imposizioni, da multe salate inflitte agli ignari utenti (clamorosa la doppia sanzione fatta pagare ad un noto avvocato di Perugia “beccato” per due volte a produrre una differenziata inquinata). E che dire poi degli inutili punti da segnare sulla carta del buon “scopino ausiliario”, o delle strategie pensate a danno dei tanti sprovveduti che ingenuamente si adoperano per mantenere pulito il pianeta, che poi alzi il coperchio ed è “tutto un raggiro sopra la spazzatura”.
E’ l’Umbria dei paradossi, ultima in Italia nella produzione del compost industriale, e per contrappasso quella che impone le tariffe più alte del Paese. Ma andiamo per ordine.
Intanto va precisata una cosa, la vera raccolta differenziata che si fa in Umbria è ai minimi storici.
Il rapporto redatto dal consorzio Anci-Conai ha smontato ogni residua illusione. Vi si legge: “Crolla in Umbria la percentuale di avvio al riciclo dei rifiuti.
La regione è al 39,33%, un dato in calo del 10%. Una situazione stigmatizzata da Roberto Pellegrino, presidente del comitato umbro “Rifiuti Zero”, che in un recente convegno ha parlato senza mezzi termini di “grande bugia”.
Nello specifico ha elencato alcuni dati. «Umbertide, che peraltro da tre anni viene premiata come Comune riciclone da Legambiente perché in grado di assicurare un 72% di raccolta differenziata, dà in sostanza un riciclo di materia riferibile al 45%. A Marsciano il riciclo ufficiale è al 64,7%, quello effettivo è del 29,96%. Perugia, in cui si dice che è al 59% di raccolta differenziata, vai a vedere si attesta ad un riciclo del 39. A Terni, che non ha il porta a porta, viene data una raccolta differenziata del 45%, ma stornata di tutto il riciclo si ferma al 41».
«Dunque – sancisce Pellegrino – la raccolta differenziata in Umbria non è altro che una grossa menzogna».
Una piaga in cui ha messo il dito anche Legambiente Perugia, che recentemente è tornata a bomba sulle criticità già evidenziate dal consorzio. “Il problema della cattiva raccolta si ripresenta con forza nei più grandi impianti che abbiamo in Umbria: a Pietramelina gestito da Gesenu (compostaggio aerobico), a Casone gestito da Vus (compostaggio aerobico e impianto di trattamento indifferenziato) e a Nera Montoro gestito da GreenAsm (digestione aerobica seguita da compostaggio). Di queste tre strutture, il recente e già citato monitoraggio di Arpa Umbria ha dimostrato l’inefficienza impiantistica in termini di scarsa resa nella produzione del compost e l’alta produzione di scarti che vanno direttamente in discarica”.
Legambiente e Cittadinanza Umbra stimano in circa 2,7 milioni l’anno i costi per smaltire la massa informe di 55.498 tonnellate di materiali organici “mal differenziati”. E aggiungono: “E’ una pratica che fa perdere compost, salubrità dei territori e un’opportunità economica”.
Il fatto, appunto, è che non siamo attrezzati a recuperare il materiare raccolto e diviso. Sono chiari gli scenari ipotizzati da Gest (acronimo delle quattro società Gesenu Spa, Ecocave srl, Sia Spa, Tsa Spa – vale a dire la società che si è aggiudicata la gara europea per la concessione, per i prossimi 15 anni, del Ciclo Integrato dei rifiuti per l’Ati n. 2 della Regione Umbria, che comprende 24 Comuni della Provincia di Perugia), che afferma: “in Umbria verrebbero meno le possibilità di smaltimento di due tipi di rifiuti: gli scarti del compostaggio che provengono da Pietramelina e la frazione organica del rifiuto solido urbano che arriva da Ponte Rio”.
Dati evidenziati anche dall’inchiesta su Pietramelina da parte della direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica, indagine condotta dal pm Valentina Manuali che ha coordinato gli accertamenti di Arpa e Forestale.
Carte da cui risulta evidente come la scheda relativa alla qualità delle frazione organica umida che viene raccolta sia da brivido. Le aree dell’Ato 2 sono state divise in sub ambiti. E il focus fatto sul sub ambito A, fa impressione. Perché a fronte di uno scarto di materiale non compostabile che è del 6% ad Assisi, sotto il 6 per cento a Valfabbrica e inferiore al 5% a Bastia (migliore performance) poi tutto si impenna, a partire dal 15% di Bettona e Perugia, per arrampicarsi fino al 28% a Torgiano e Todi, dove quasi un terzo dell’umido raccolto è contaminato da altri rifiuti. Insomma la media del sub ambito A dice che poco meno del del 15% della frazione organica umida non può essere mandato al compostaggio; mentre il sub ambito C (da Cannara a Deruta passando per Marsciano) ha un dato inferiore al 15 per cento sul fronte delle impurità della frazione organica umida. Che poi è uno dei nodi che pesano sulle bollette. Inoltre guardando le schede dell’Isfra, Istituto superiore di protezione ambientale, risulta evidente che Pietramelina ha il 70 per cento di scarti nel compost. Che Casone di Foligno ha il 66% di scarti, che le Crete di Orvieto ha il 66% di scarti, e che Nera Montoro ha il 30% di scarti.
Inchieste Insomma tutto porta ad assodare, senza ombra di dubbio, che in media più della metà della raccolta differenziata dell’organico torna in discarica.
Dati che non hanno scosso più di tanto l’assessore regionale all’Ambiente Fernanda Cecchini che a proposito del rapporto firmato da Anci-Conai, dichiara: «Il dato sui rifiuti è parziale e fuorviante. Si riferisce infatti alla sola quota di rifiuti avviati a recupero e riciclo agli impianti aderenti ai consorzi di filiera del sistema Conai e non anche ad altri impianti privati di recupero e riciclo dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata». Per la Cecchini si tratterebbe semplicemente di «dati depressi dalla quota di rifiuti avviati al riciclo nelle aziende non aderenti al consorzio». Ma a ribadire la questione c’è l’Arpa, che sancisce chiaramente che in tutta l’Umbria il 46% della raccolta differenziata multimateriale finisce in discarica. E specifica: «Gli ingombranti, che rappresentano solo il 2% della differenziata, ebbene il 79% finiscono in discarica.
Lo spazzamento stradale, si riesce a recuperare volendo il 70 per cento, che rappresenta circa il 3 per cento dei nostri rifiuti, e di questi il 70% finisce in discarica». E allora basti dire che in Veneto gli scarti sono il 2,93, lo 0,98, 4,98%. In Puglia il 7,24, il 25, il 10,59, il 7, il 3. In Sardegna ad Ozieri c’è il 65 per cento di scarti. Poi c’è il 5, il 10, il 45. «E a proposito di Ozieri – dice Roberto Pellegrino – siamo andati a vedere chi gestiva la raccolta e abbiamo scoperto che era Campitano Ambiente, gruppo Gesenu, anch’essa colpita da interdittiva».
E a proposito di “interdittiva” è il consigliere regionale del M5S Andrea Liberati a rivendicare alcune azioni che poi hanno portato all’apertura dell’indagine in corso. «Su nostra istanza – dice Liberati – è stata aperta e poi chiusa una commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti regionale, e poi tutti i documenti sono finiti alla Commissione antimafia. E il tema delle interdittive è quello che ha aperto gli occhi a tanti cittadini, famiglie e imprese, che si ritrovano certe bollette e non capiscono cosa c’è dietro. E dietro trapela un sistema di malaffare, di conflitti d’interesse, da cui sembrerebbe che non si riesce mai ad uscire. Un sistema che ha prosperato fino all’esplosione del bubbone».
E quando parla di “bubbone” si riferisce alla fitta trama di compartecipazioni societarie che ha spinto la Prefettura di Perugia a puntare il dito anche sulla Gesenu spa, la ditta umbra che ha sempre rappresentato un esempio, un modello da seguire e che negli anni si è conquistata spazi e fiducia in molte parti d’Italia e che oggi è finita nel calderone delle aziende controllate dal re della mondezza romana Manlio Cerroni. Il quale, a quanto risulta dalle carte, con un sistema di partecipazioni governava anche il Consorzio Simco in provincia di Catania. Che nei suoi organici contava 29 dipendenti condannati per gravissimi reati. Una vicenda che, per la sua gravità, ha spinto dunque la commissione d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, presieduta dal dem Alessandro Bratti, a fare tappa anche in Umbria.
Ma, va ricordato, che la l’inchiesta è aperta e ci sono responsabilità tutte da individuare e verificare. E c’è da sperare che la Gesenu ne esca pulita, perché di aziende di tale esperienza e professionalità si sente il bisogno per risanare una situazione che fino ad oggi sembra un po’ trascurata e lasciata a se stessa. Una apparente “indifferenza” che ha avuto il potere di scatenare la forte reazione del sottosegretario agli Interni Gianpiero Bocci che, proprio all’indomani del provvedimento della prefettura, ha puntato l’indice contro l’atteggiamento dell’intera classe politica regionale: «La vicenda dei rifiuti ci restituisce uno spaccato non in linea con la storia democratica dell’Umbria – ha tuonato il sottosegretario -. Mi aspettavo e mi aspetto che da parte dei partiti ci sia una presa di posizione netta».
Articolo pubblicato anche su quotidianodellumbria.it