La Procura generale di Perugia ha avocato a sé il fascicolo che riguarda la morte del 26enne, trovato senza vita in un appartamento del centro
Il procuratore generale Sergio Sottani a dieci anni dai fatti ha riaperto il caso di Nicola Romano, trovato morto a 26 anni nell’agosto 2013 nel suo appartamento in via Mater Dei nel centro storico di Perugia.
Le indagini, all’epoca, si conclusero con l’archiviazione, sostenendo l’ipotesi di un’overdose mortale, ma questa versione è stata sempre contestata dai familiari, soprattutto dalla sorella Chiara, al punto che nel 2021 vennero presentati in procura elementi a loro giudizio decisivi per riaprire il caso.
Numerose le incongruenze sulle quali la sorella e gli altri familiari, attraverso i legali, hanno più volte puntato il dito. Come la posizione del corpo, ritrovato sotto un tavolino, oppure il foro di una siringa sul braccio destro, ritenuto improbabile per un destrorso che si sarebbe voluto iniettare eroina. La cui quantità, come evidenzia la consulenza tossicologica commissionata dalla famiglia, sarebbe stata così ridotta da non poter provocare un’overdose.
Secondo i familiari, assistiti dagli avvocati Barbara Romoli e Anna Beatrice Indiveri, venne sostenuta la tesi che Nicola Romano sarebbe stato ucciso, forse dalle stesse persone che, poco prima del 17 agosto 2013, quando venne ritrovato cadavere, lo avrebbero minacciato e picchiato, per poi inscenare un’overdose nella casa dove, di fatto, sarebbe stato trattenuto contro la sua volontà, facendo leva sul suo passato di tossicodipendenza.
Messe in rilievo le tante incongruenze. L’appartamento messo a soqquadro, una siringa trovata a terra ma senza ago e il buco sul braccio destro di Nicola che era destrorso.
E poi quei segnali chiari della presenza di altre persone nell’appartamento, come i tre bicchieri utilizzati sul lavandino.
Nicola si era liberato dalla sua dipendenza da eroina, lavorava e aveva di nuovo la patente. Il quantitativo di droga che gli è stato trovato in corpo non era sufficiente ad ucciderlo, secondo il tossicologo dei familiari, che ipotizzano una morte per soffocamento.
La successiva attività di indagine si era conclusa con una nuova richiesta di archiviazione a cui i parenti si erano opposti.
La famiglia era tornata ad opporsi all’ennesima archiviazione, chiedendo alla Procura generale di condurre le indagini al posto della Procura, sulla scorta di elementi di parte, emersi in questi anni, da quelli tecnico scientifici alle testimonianze.
Richiesta, infine, accolta dall’ufficio diretto da Sergio Sottani.