Benzina e diesel stanno facendo piangere lacrime amare ai motorizzati italiani
di AMAR
Se, prima del 2002, mica nella preistoria, fossimo andati a fare il pieno di benzina al prezzo di 4.000 (quattromila) lire al litro, avremmo trovato una lunga fila di persone svenute causa il crepacuore. Oggi fortunatamente il litro costa soltanto 2 (due) euro e quindi siamo fortunati. Una sommetta. Mi fanno notare che dovremmo svenire lo stesso, perché il peso sul portafoglio è tale e quale. Significa che, se con un litro fai una decina di chilometri e devi andare da Terni a Perugia o poco oltre (magari a fini di lavoro), ti ci vogliono 40.000 lire di allora e 20 euro di oggi. E altrettante per tornare. Insomma, una sassata. Hai voglia a maledire la pompa: la magagna sta altrove.
A scagliarci il sasso in testa sono le cosiddette accise. Secondo il ragionier Fantozzi (Paolo Villaggio buonanima) “dicesi accisa il tributo diretto a riscossione mediata che lo Stato applica a determinati beni, al momento della produzione oppure del consumo”. Le accise sui carburanti fanno da prototipo come balzello canaglia a pesante carico del consumatore finale. La prima volta che un governante italiano (in camicia scura) si è fatto venire l’idea di applicare un balzello canaglia sulla benzina, fu poco meno di un secolo fa. Quando andammo in Africa a conquistare l’Impero e allestimmo una spedizione militare costosissima e sufficiente per fare la guerra a mezzo mondo.
Quello del duce e altri contributi simili, addebitati alla pompa, sino al 1965, vennero trasformati da una tantum in tantum e basta (imposta fissa). Quindi, arrivarono i calamitosi terremoti del Belice (1968), del Friuli (1976), dell’Irpinia (1980), le missioni dell’ONU in Libano (1982), in Siria (1996), sino al simpatico “Decreto del fare” (2014). Ogni botta una tacchia, tutto sul groppone dell’uomo al volante (e al manubrio a scoppio).
Il quale uomo seduto continua ad incolpare la pompa innocente ed a scorrazzare e scarrozzare, come niente fosse. Con il motore privato imperante al centro della circolazione stradale. Mentre il motore pubblico – porto Terni ad esempio – prosegue la sua peregrinazione urbana, talvolta persino senza l’onore di un passeggero a bordo. L’autista, poveretto, solitario quanto il passero di Leopardi, nocchiero triste e sconsolato.
È vero che il prezzo della benzina (e del diesel) è legato alle oscillazioni del mercato del petrolio. Rimane comunque bislacco il fatto che, se il costo del combustibile fossile aumenta, il prezzo al distributore sale. Poi, quando il costo del petrolio torna a scendere, anche in misura ragguardevole, il prezzo del carburante rimane immutato. E nessun utente si inca … ttivisce.
Durante talune recenti campagne elettorali, la Presidente Giorgia Meloni e il Vice Matteo Salvini erano adusi imputare all’Esecutivo in carica – le accise come le accuse – il mantenimento sconcio dei tributi sui carburanti. Tuoni, fulmini, saette. E loro in coro a giurare e spergiurare: “Le cancelleremo immantinentemente(!) una volta conquistato il Governo”. Una specie di quell’altro, con alterigia, “Li fermeremo sul bagnasciuga”. Risultato: Gli anglo – americani, dalla Sicilia arrivarono al Brennero e le inique tasse sulla benzina (e il diesel) stanno ancora imperterrite al loro posto. A dimostrazione che, in periodo di caccia al voto, per taluni politici smargiassi, le promesse (vale la pena ribadirlo) sono soltanto bugie vestite in elegante abito da sera.